La comprensione di quella che potremmo a tutti gli effetti definire una rivoluzione nel contesto della psicologia non può prescindere dalla figura di Milton Hyland Erickson (1901-1980) psichiatra statunitense che dedicò la sua intera esistenza allo studio e alla pratica dell’ipnosi come terapia per le persone. La figura che Milton Erikson ha voluto lasciare di se stesso come terapeuta e soprattutto come uomo è tutt’oggi avvolta da un alone di magia e mistero.
Fin dai primi momenti della sua esistenza il giovane Milton si è trovato a dover fronteggiare diverse difficoltà: soffrì di problemi neurologici ed era nato con amusia, dislessia, e un grave daltonismo, inoltre rischiò di morire di poliomielite salvandosi in maniera inaspettata ma presentando per il resto della sua vita atonia muscolare e un’aritmia cardiaca. Con il tempo, e avvalendosi dell’autoipnosi, Erickson imparò a guarire dapprima se stesso, e poi apprese come guarire gli altri. Anche nella vecchiaia la quasi totale perdita di autonomia motoria non rappresentò per lui una reale perdita, bensì uno strumento da utilizzare per farsi egli stesso mezzo di guarigione dell’Altro. Ed è in questo che risiede la più grande lezione di Erickson, che non solo non si è lasciato distruggere dalla perdita dell’autonomia bensì se ne è avvalso come occasione per mettere in campo le proprie risorse inconsce più creative, al servizio tanto della propria esistenza come uomo, quanto come incarnazione di un modello positivo e suggestiva testimonianza per i propri pazienti.